Di tutte le umane botteghe che possono chiudere, nessuna mi strazia di più delle panetterie. Un monumento vivente di tradizione e semplicità, il miracolo millenario della transustanziazione dei cereali in massa calda, fumante,deliziosa, le mille pieghe della crosta del pane, il brunire delle corna dei cornetti, il miracolo del loro ripieno, le mille impensabili sensazioni che al palato solo l’abbraccio del burro, del lievito e dell’olio possono dare. Come è buono, come è sostenibile tutto questo. Non sapremo mai se sia stato davvero l’uomo ad addomesticare il grano o piuttosto il grano ad addomesticare l’uomo, a fare di questa scimmia errante il più fedele dei servitori. Non ha importanza, la nostra civiltà nasce nel grano e nei suoi prodotti. E’ il miracolo del pane ripetuto quotidianamente, la fatica quotidiana del panettiere che a dispetto della globalizzazione, della delocalizzazione, dei cargo in mezzo agli oceani si alza a orari impossibili di tutte le latitudini, di tutti i paesi e con le sue mani ripete la più importante delle liturgie, fottendosene dell’indice di Gini, delle supply chain globali, dei bitcoin, dei talent show di cucina: lui fa Il pane, signori! Potete anche guadagnare dieci volte quello che guadagna lui, ma il vostro lavoro non varrà mai un decimo del suo. Il pane: in ogni luogo diverso, in ogni luogo delizioso, ovunque simbolo di una comunità che si fonda spezzando il pane, i nostri compagni (cum + panis: coloro con cui dividiamo il pane).
Chi rifiuta questo miracolo, per una immonda caccia alle streghe del carboidrato meriterebbe di essere espulso a calci dal corpo sano della società, e lasciato su uno scoglio con una cassa di ignobili barrette proteiche, con il solo conforto di un velenoso bibitone alla soia.
La chiesa cattolica che come sempre ha capito tutto troppo in anticipo, ha fatto del pane non una metafora, ma l’autentica vita nel suo cristallo più puro, il corpo fisico del Signore, non immagine ma presenza di Dio. Come è semplice e delizioso, come è economico e conveniente, quanto bene ci sazia tutto questo! Spezzare il pane: fondare una comunità. Il fallimento di una panetteria è la più mortale delle nostre sconfitte. La nostra civiltà nasce nel grano e nei suoi prodotti, e in essi muore. Che bestemmia contro il lavoro del panettiere, il più nobile dei mestieri, quella serranda chiusa per sempre! Finché c’è pane tutti noi anche se morti abbiamo ancora la speranza di tornare alla vita. Senza il pane c’è solo la morte, o peggio ancora la sua attesa.