La Brexit e la Viennizzazione.

Il fatto che così tanti imperi siano caduti e che così tanti centri nevralgici siano poi diventati sonnolenta periferia non ci aiuta a cogliere il ripetersi ciclico degli stessi fenomeni, nemmeno quando accadono davanti ai nostri stessi occhi. La potenza hegeliana della storia a volte è così incandescente da accecare i propri protagonisti.

Mi si dirà che la Brexit non è la fine del mondo, e soprattutto l’Unione Europea, con tutti i guai che ha, non è certo il compimento della Storia. Uscire da questo minuzioso consesso burocratico non può poi avere conseguenze tanto nefaste, giusto?

Forse sì invece. Il modello di sviluppo della piccola grande isola al di là della Manica ha avuto diverse fasi, fase coloniale, fase commerciale, fase industriale, fase finanziaria, ma ha sempre avuto un comune denominatore: essere al centro di un’economia dei flussi, essere l’hub principale delle varie reti. I flussi e le reti seguono la legge di Metcalfe da ben prima che l’informatico americano la formulasse in questi termini “L’utilità e il valore di una rete sono proporzionali al quadrato del numero degli utenti”, ovvero con n il numero degli utenti: n(n−1) = n²−n. Notare quell’esponente: una funzione quadratica NON è lineare, la sua traiettoria non la “percepiamo” naturale.

Ora il Regno Unito ha deciso di scendere dalla giostra che più di tutti ha spinto per mettere in moto. La globalizzazione, essere sempre con una scarpa dentro flussi, reti, relazioni, sempre pronti a cogliere vantaggi e a bloccare pericoli, fino a spingere il mondo intero verso l’attuale parossismo di reti e relazioni frenetiche, attraverso tutti i fusi orari possibili immaginabili, fino a connettere tutti con tutti, sempre, in ogni luogo, in ogni lago, fino a spingerci alla domanda esiziale di Corrado Guzzanti:

“Ma io e te aborigeno ma che cazzo se dovemo di’???”.

Ma ora la giostra è in moto frenetico, mantiene ostinata il proprio vorticoso momento angolare, e non si può scendere così facilmente a comando, senza essere tranciati da tutto ciò che si è messo in moto. Anzi, non è neppure etico uscirne indenni, senza graffi, facendo pagare ad altri il prezzo del biglietto della giostra mentre si va in giro con una stecca di zucchero filato in cerca delle nuove attrazioni nel Luna Park.

Il recente prestigio del Regno Unito era basato sui vantaggi della globalizzazione, essere la patria di riferimento del suo modello di capitalismo e il prestigio culturale della propria lingua, diventata lingua franca di un mondo iperconnesso.

Tuttavia, se il primo vantaggio verrà ridimensionato dall’uscita parziale dai flussi, e la Teoria dei Giochi ci insegna che agenti razionali vanno sempre dove hanno 101 anziché 100, e quindi chi offre 100 viene scartato esattamente come chi offriva zero, nemmeno il secondo punto di forza se la passa più tanta bene. Generazioni di giovani di belle speranze potrebbero non trovare più a Londra la migliore scuola di lingua: perché mai dovrebbero sciacquare i piatti a Londra se tramite Netflix o Youtube possono avere quasi gratis tutta l’esposizione alla lingua originale di cui hanno bisogno? La lingua inglese è già ovunque, non bisogna andare per forza oltremanica ad abbeverarsene.

Inoltre, il livello medio dell’inglese nel mondo è aumentato moltissimo. I giovani tedeschi e svizzeri parlano un inglese già quasi perfetto, e persino in paesi recalcitranti come Francia e Italia il livello è molto migliorato di recente.

E allora, cosa c’entra Vienna? Vienna resta una delle città più belle d’Europa, ma la sua bellezza fu costruita per celebrare i fasti della capitale di un impero immenso, poliglotta e multietnico. Quando il suo impero fu inghiottito dall’unica vittoria militare della storia italiana (vittoria che si sarebbe ovviamente tradotta con la scellerata estinzione di uno dei fari di cultura e tolleranza della civiltà europea), Vienna si ritrovo ad essere la capitale troppo grande di un corpo troppo piccolo e si rinchiuse nei piccoli piacere dei suoi caffè, animati da intellettuali già con la valigia pronta per sfuggire alla nuova marea nera.

Londra rischia di trovarsi ad essere una Vienna con i bus a due piani. Una città schiava del mito della propria storia, troppo immedesimata nel proprio ruolo per reinventarsi di colpo e soprattutto non abbastanza umile per farlo. Londra rischia di diventare per gli anni a venire un luogo dove si va a vedere il cambio della guardia davanti a Buckingham Palace e ci si fa un selfie con i Beefeaters. Gioverebbe ricordare che anche Roma, capitale dell’Impero millenario che inventò l’occidente e la cristianità, è ormai ridotta a poco più di uno sfondo per i selfie con i centuroni obesi, le spazzole della scopa montati sugli elmi di plastica.

Sono molte le lezioni che possiamo trarre dalla Storia: la principale a mio avviso dovrebbe sempre essere l’umiltà.

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